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Billie Holiday rappresenta indiscutibilmente una delle più grandi voci del Jazz.

Ha cantato nelle più celebri formazioni tra gli anni ’30 e ’40, come l’orchestra di Count Basie.

La sua vita fu costellata di esperienze dolorose e travagliate, che resero questa cantante in grado di esprimere e interpretare il significato più autentico del “Blues”.

Billie ci ha lasciato straordinarie interpretazioni, il Jazz fu per lei un linguaggio espressivo, un riscatto in una vita in cui l’uso di stupefacenti e l’alcool erano l’unico modo per rendere sopportabile il suo mondo interiore.

Chi ebbe la fortuna di lavorare con lei, la descrisse come una persona meravigliosa dal cuore tenero, nonostante i demoni che la tormentavano.

Billie Holiday  e la Count Basie Orchestra

Nel ’37 Billie entrò ad arricchire la già favolosa orchestra di William, detto “Count”, Basie pianista appassionato dello stile “stride” di New York che univa il Ragtime al Blues.

La “Count Basie Orchestra” entrò di prepotenza tra le principali big band dell’Era dello Swing, famosa per l’uragano ritmico che era in grado di sprigionare, grazie anche ad eccelsi solisti ai fiati come Lester Young e Herschel Evans (al sax) e adorata dai ballerini di Lindy Hop dell’epoca (come Frankie Manning).

Nella sua breve permanenza nell’orchestra di Basie, Billie sperimentò le difficoltà della vita come musicista itinerante: percorrendo cinque o seicento miglia sull’autobus ogni notte, affamata ed esausta, ma allo stesso tempo adorava che Lester si mettesse a suonare i suoi bellissimi assoli dietro di lei, con i suoi contrasti e le sue impennate che facevano saltare sulla sedia chi lo ascoltava.

Billie e Lester

Billie e Lester trovarono l’uno nell’altra molto più di un’anima gemella musicale, si ribattezzarono a vicenda “Lady Day” e “Prez” (il Presidente), e continuarono a suonare insieme anche dopo che lei lasciò l’orchestra di Basie.

La platonica tenerezza che li proteggeva non poteva però resistere a lungo, l’alcolismo di lui e la dipendenza dall’eroina di lei finirono per logorare il loro rapporto.

Nonostante questo, Billie scrisse a proposito di Lester e del suo talento:

«Tutti dobbiamo essere differenti. Non si può copiare un altro e pretendere di arrivare a qualcosa. Come non ci sono al mondo due persone uguali, così deve essere anche per la musica. Sennò non è musica».

La signora canta il Blues

Nella sua autobiografia del ‘56 “La signora canta il Blues”, vennero citati ripetutamente spiacevoli scenari stupidamente razzisti, come quando in tournée con l’orchestra di Count Basie fu costretta a scurirsi il volto, perché la sua pelle troppo chiara poteva farla passare per bianca sotto i riflettori.

O quando al contrario da star del suo gruppo di Art Shaw, composto interamente da bianchi, suscitò ridicole rappresaglie solo per il suo essere nera.

O quella volta in un albergo, in cui lei doveva esibirsi come attrazione principale, che le fecero usare il montacarichi invece degli ascensori, perché riservati ai bianchi.

Fu nel ‘39 che Billie cantò per la prima volta, nel nightclub “Café Society” di New York, “Strange Fruit”, una canzone in cui denunciava la discriminazione razziale, contro i linciaggi dei neri nel sud degli Stati Uniti e li esibiva sul palco.

Sebbene fosse già famosa come elegante ed espressiva interprete, dopo “Strange Fruit” raggiunse la fama mondiale, riuscendo anche a commuovere e scuotere il suo pubblico.

Nella sua autobiografia scrisse:

Questa canzone aiuta a distinguere le persone a posto dagli idioti e dai cretini“.